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Se il processo a Megaupload non si può fare #fbi #fail

21 Aprile 2012 3 min lettura

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Se il processo a Megaupload non si può fare #fbi #fail

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Il 19 gennaio 2012 il noto portale di cloud storage e file sharing Megaupload e tutti i siti collegati sono stati chiusi dall'FBI americana, i domini sequestrati, il patron Kim Dotcom arrestato in New Zeland e beni per circa 50 milioni di dollari confiscati. L'operazione ha avuto un'eco mondiale, e conseguenze in tutta la rete internet, con i servizi di cloud storage online che rivedevano le loro policy, alcuni addirittura disabilitando le loro funzionalità per paura di incappare nelle maglie della giustizia USA. Insomma, l'equivalente di una bomba termonucleare sganciata sul web.

E ora?

A dimostrazione di quanto il mondo di oggi sia estremamente legato alle apparenze, e gli americani sanno bene come gestirle avendolo imparato egregiamente da Hollywood, a distanza di 3 mesi  dall'operazione rimane ben poco.

Dotcom ha pagato la cauzione ed è uscito, in attesa di estradizione negli USA per un eventuale processo, anche se la stessa estradizione è in forse perché la pena massima per il reato contestato sarebbe di 4 anni, mentre per ottenere un'estradizione alle autorità americane occorre un reato con pena massima a cinque anni.

Ancora, il 16 marzo il sequestro dei beni è stato annullato da un tribunale neozelandese per un errore procedurale.

Ma, soprattutto, forse lo stesso processo a Megaupload non si farà mai. Questo è quanto asserisce il giudice statunitense incaricato del caso, come riportato nel New Zeland Herald del 21 aprile. Il giudice Liam O'Grady, infatti, ha rilevato che all'azienda Megaupload, con sede in New Zeland (come Dotcom), non sono mai state notificate le accuse penali, adempimento indispensabile per poter procedere ad un processo penale. In realtà, spiega un avvocato, il problema starebbe nel fatto che un'azienda estera non può essere oggetto di estradizione, quindi Megaupload non può essere assoggettata alla giurisdizione USA. Ed è questo il "piccolo" problema che avrebbe afflitto tutta la procedura fin dall'inizio. Sembra che quell'operazione non si potesse fare!

Il giudice O'Gredy aggiunge: "I frankly don't know that we are ever going to have a trial in this matter", francamente non so se avremo questo processo.

Viene da chiedersi, ma nessuno se ne era accorto prima, oppure era troppa la fretta di chiudere quel sito?

Il danno ormai è fatto. Quel che resta è la chiusura di un sito che garantiva il 4% del traffico dell'internet mondiale, traffico regolarmente pagato ai provider, la chiusura delle aziende che gravitavano intorno a Megaupload, compreso una ditta che produceva vestiti, per un totale di circa 220 posti di lavoro persi, e migliaia di utenti che usavano legalmente Megaupload per caricare i propri backup non hanno più l'accesso ai propri file, con rischi anche per la loro privacy.

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Certo, si dirà che Megaupload era usato per scambiare anche file piratati, illegali, ma il punto non è quello. Se qualcuno commette un reato, ne paga personalmente le conseguenze, lo si processa e lo si condanna. Ma non per questo devono pagare altri, come Megaupload, a meno che non si riesca a dimostrare che Dotcom e soci fossero complici. Altrimenti anche Google dovrebbe essere chiusa.

Comunque si concluderà questa vicenda, speriamo serva di monito alle facili criminalizzazioni della pirateria. Lasciando mano libera alle grandi multinazionali di decidere e valutare cosa è reato e cosa no, sarà sempre più facile scadere nelle condanne mediatiche, come appunto quella di Kim Dotcom, il cattivo ragazzo che si pavoneggia tra mansion di lusso e auto di grossa cilindrata.

Ma, per fortuna, finché c'è un giudice a decidere sui reati, non sarà sufficiente una semplice accusa di aver leso i diritti di una grande azienda. Per fare un processo un giudice segue le regole, e per giungere ad una condanna, vuole le prove!

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