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Referendum Lombardia e Veneto: cosa si vota, i costi e le critiche al sistema elettronico

20 Ottobre 2017 6 min lettura

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Referendum Lombardia e Veneto: cosa si vota, i costi e le critiche al sistema elettronico

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Lombardia e Veneto, guidate entrambe dalla Lega Nord, hanno indetto un referendum consultivo sull'autonomia per domenica 22 ottobre. Si tratta, come scritto, di due referendum consultivi, cioè non vincolanti, ma che servono “solo a informare e orientare l’organo decisorio (ndr in questo caso la Regione) durante lo svolgimento della propria attività”, si legge sul dizionario De Mauro.

Quando si vota e su cosa

Domenica 22 ottobre, dalle 7 alle 23 le urne saranno aperte in Lombardia e in Veneto. I cittadini delle due regioni dovranno decidere con Sì, con un No o con scheda bianca se la loro Regione, restando comunque nel quadro dell’unità nazionale, possa iniziare a negoziare con il governo italiano “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, spiega un dossier del Servizio Studi del Senato.

Il quesito in Lombardia:

Volete voi che la Regione Lombardia, in considerazione della sua specialità, nel quadro dell’unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 116, terzo comma, della Costituzione e con riferimento a ogni materia legislativa per cui tale procedimento sia ammesso in base all’articolo richiamato?

Il quesito in Veneto:

Vuoi che alla Regione del Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?

Cosa prevede l’articolo 116 della Costituzione

L’articolo 116 della Costituzione tratta di “regionalismo differenziato” e prevede al terzo comma che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia (su un numero limitato di materie come rapporti internazionali e con l'Unione europea, commercio con l'estero, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, ricerca scientifica e tecnologica, salute, alimentazione, protezione civile, governo del territorio, organizzazione della giustizia di pace, ecc) possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario (che si differenziano cioè da Valle d’Aosta, Trentino Alto-Adige, Friuli Venezia Giulia, Sicilia e Sardegna che hanno uno statuto speciale), “con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali”, nel rispetto dei princìpi stabiliti dalla stessa Costituzione (in particolare il rispetto dell’equilibrio di bilancio e l'obbligo di concorrere all’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea).

Per l’avvio del procedimento previsto dall’articolo 116, precisa ancora il servizio studi del Senato, la Costituzione non prevede l’indizione di un referendum: “si tratta di una scelta discrezionale, alla quale nessuna regione ha fatto ricorso fino ad oggi”. L’Emilia Romagna, ad esempio, che intende ottenere lo stesso obiettivo di Lombardia e Veneto, cioè una maggiore autonomia decisionale su determinate materie, si è attivata con il governo senza ricorrere a un referendum. Il 18 ottobre scorso è stata firmata una dichiarazione d’intenti tra la Regione, guidata da Stefano Bonaccini, e il governo Gentiloni: "A seguito della risoluzione adottata il 3 ottobre dal Consiglio Regionale dell'Emilia-Romagna al fine di ottenere forme e condizioni particolari di autonomia, il Governo e la Giunta regionale intendono dare corso a tale proposito".

Il terzo comma dell’articolo 116, che permette questo procedimento, è stato introdotto (all’articolo 2, comma 2) dalla riforma costituzionale del 2001 del governo Amato (qui un dossier che spiega le modifiche apportate) che ha modificato il Titolo V (quello che tratta le competenze legislative tra Stato-Regioni) della parte seconda della Costituzione. Ad oggi, specifica ancora il dossier del Senato, non sono stati mai approvate leggi da parte del governo in attuazione dell’articolo dell'articolo 116.

Come si vota

In Lombardia, il cittadino esprimerà il proprio voto al seggio elettorale attraverso dispositivi elettronici (oltre 24mila “tablet” che, fa sapere la Regione, saranno lasciati "in comodato gratuito alle scuole sedi di seggio, fino alla successiva consultazione. Cambiando i software potranno utilizzarli per le attività didattiche") presenti all’interno della cabina.

Maroni, dimostrando in una conferenza stampa il 9 ottobre scorso la semplicità del voto elettronico, ha affermato che questo sistema «è sicuro». Anche Diego Chiarion, responsabile italiano di Smartmatic, l'azienda che si è aggiudicata l'appalto per conto della Regione, ha garantito a Repubblica Milano sulla sicurezza del procedimento di voto: «Sono pronto a mettere la mano sul fuoco».

Leggi anche >> Referendum Lombardia: i pro e i contro del voto elettronico

Nonostante queste rassicurazioni, alcuni esperti hanno sollevato delle criticità. Racconta sempre Repubblica Milano che “l'Hermes Center, un’associazione no profit impegnata sui temi della trasparenza e della difesa dei diritti umani digitali, ha fatto richiesta dei documenti ufficiali al Pirellone. L'obiettivo era valutare protocolli e sistemi di sicurezza previsti dalla Smartmatic (...). La risposta ricevuta però è stata negativa: ‘Si trasmette in allegato quanto richiesto facendo presente che l'offerta tecnica (...) viene trasmessa senza le parti secretate in quanto contenenti dati relativi a codici sorgente e informazioni coperte da proprietà intellettuale nonché dati attinenti alla sicurezza’.”. Secondo Fabio Pietrosanti, presidente dell'associazione, si tratta di una modalità che non garantisce l'inviolabilità di un sistema informatico: «Si chiama ‘security through obscurity’, sicurezza attraverso l'oscurità, ed è un paradigma degli anni Ottanta totalmente superato. Da decenni ormai sappiamo che per evitare attacchi bisognerebbe fare esattamente l'opposto: esporre la tecnologia alla comunità scientifica in modo che verifichi la presenza di falle».

Stefano Zanero, professore associato di sicurezza informatica al Politecnico di Milano, sentito sempre dal quotidiano, ha affermato inoltre che "le macchine tratteranno dati sensibili come quelli delle votazioni. Com'è possibile che ai cittadini non sia consentito di conoscere come funzionano e come sono fatte? Senza contare poi che l'unico sistema affidabile di votazione elettronica è il paper-trail, ovvero quello che consente la stampa delle singole schede, che non viene usato in questo caso".

In Veneto, invece, l’elettore, per votare, utilizzerà la classica scheda cartacea.

La questione del quorum

In Lombardia, non è previsto il raggiungimento del quorum per rendere valido il referendum consultivo. Roberto Maroni ha annunciato che si aspetta di superare il 34% di affluenza: «Ogni voto in più sarà un successo».  

In Veneto, al contrario, è necessario, affinché la proposta sottoposta a referendum venga approvata, che vi partecipi il 50% più uno degli aventi diritto al voto.

Cosa succede se vince il Sì o il No

Il referendum non avrà effetti immediati essendo consultivo e, quindi, non produrrà alcun risultato vincolante, né per le regioni interessate né per lo Stato. In caso di vittoria del Sì, la Lombardia e il Veneto non diventeranno regioni a statuto speciale. La consultazione referendaria, ricostruisce Il Post, potrebbe dare maggiore forza politica per fare pressione e chiedere più poteri al governo.

Non esiste, inoltre, alcuna possibilità che in caso di vittoria del Sì, la Regione Lombardia possa trattenere i circa 30 miliardi di euro di imposte raccolte sul territorio che oggi finiscono nelle casse dello Stato (secondo quanto calcolato da alcuni studi scientifici al riguardo), come fatto intendere da rappresentanti della Lega Nord durante la campagna referendaria. Come ammesso dallo stesso presidente della Lombardia, Roberto Maroni, «Sappiamo che è un referendum consultivo e non avrà quindi un effetto immediato, ma, sul piano politico, diverso è se io vado a trattare come governatore punto e diverso se io vado a trattare sulla base del mandato dei cittadini lombardi».

I costi

I costi sostenuti per l’organizzazione del referendum hanno suscitato diverse polemiche. Al momento della sua approvazione il Partito Democratico e SeL (Sinistra ecologia e libertà) avevano criticato l’opportunità di un referendum ritenuto senza effetti istituzionali ed economici immediati, contestando la spesa per la consultazione che, secondo i due partiti, si sarebbe aggirata intorno ai 46 milioni di euro. In altre parole, per l’opposizione, il referendum porterà a pochi cambiamenti concreti ma costerà molti soldi.

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Le due consultazioni referendarie dovrebbero costare in totale 62 milioni di euro: 48 milioni per la Lombardia e 14 milioni per il Veneto, scrive Sara Monaci su Il Sole 24 Ore. Secondo quanto ricostruito da Andrea Montanari su Repubblica, per la sola Lombardia la consultazione costerà 50 milioni di euro, così ripartiti: 11 milioni per l’acquisto dei 24mila tablet che saranno utilizzati per il voto digitale nei circa 8mila seggi, 4,4 milioni per il software per il sistema del voto elettronico, altri 4,4 milioni per il servizio di assistenza tecnica e la formazione del personale che dovrà far funzionare le cosiddette “voting machine”, 3,3 milioni di euro spesi per la campagna promozionale, svolta in due fasi, per strada, su radio, tv e web e ulteriori 24,6 milioni previsti invece nel bilancio di previsione 2017 per l'organizzazione del referendum consultivo.

Sul sito della Regione Lombardia si legge che i costi della consultazione potranno “essere quantificati con esattezza solo a conclusione delle procedure di rendicontazione. Allo stato attuale la stima è di circa 5 euro per cittadino lombardo, di cui quasi la metà a titolo di investimento nelle tecnologie per il voto elettronico, che potranno essere riutilizzate anche per le prossime tornate elettorali”.

Foto anteprima via LaPresse

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