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“È boom di razzismo sui social network”. Falso

20 Dicembre 2016 8 min lettura

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“È boom di razzismo sui social network”. Falso

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di Angelo Romano, Andrea Zitelli, Alessandro Lanni

Su Repubblica di ieri, Vladimiro Polchi ha riportato in un articolo quanto emerso da Notizie oltre i muri, il IV rapporto dell'Associazione Carta di Roma, presentato ieri, sul racconto del fenomeno migratorio nei primi dieci mesi del 2016 da parte dei media e sui social network. Il giornalista, però, nella sua sintesi del rapporto, ne distorce il contenuto.

Si parte con l’occhiello del pezzo in cui si legge:

Lo studio. L'Associazione Carta di Roma: toni più moderati nel 20 per cento dei casi su quotidiani e telegiornali. Ma è boom di razzismo sui social network

L’occhiello mette in evidenza due punti contrapposti e separati. Da una parte, “i quotidiani e i telegiornali” hanno “toni più moderati nel 20% dei casi”, dall’altra il “boom di razzismo” presente sui social network.
Nell’articolo, il giornalista argomenta la “differenza fondamentale” che ci sarebbe tra media tradizionali e i social nel parlare di immigrazione:

Mentre sui media tradizionali si assiste a un calo dei toni allarmistici, sui social il linguaggio spesso si estremizza, a suon di insulti razzisti.

Poi nell’ultima parte del pezzo, torna a parlare esclusivamente dei social, spiegando che il caso analizzato nel rapporto per descrivere le dinamiche in rete è quello dell’omicidio di Fermo (qui gli ultimi sviluppi processuali), che ha visto la morte del richiedente asilo dalla Nigeria, Emmanuel Chidi Namdi, dopo aver ricevuto un pugno da un cittadino fermano, Amedeo Mancini, in seguito a una colluttazione nata da un insulto razzista di Mancini nei confronti della moglie di Emmanuel:

C'è poi la rete (...) Ebbene, mentre «i principali notiziari nazionali conservano una linea editoriale di condanna al razzismo e l'informazione dentro confini di tolleranza, su Twitter si assiste a una sguaiata deumanizzazione del linguaggio: compaiono insulti razzisti e sessisti violentissimi».

Polchi qui sta facendo riferimento all'ultimo capitolo del rapporto, in cui viene fatta l'analisi semantica dei 73mila tweet postati fra il 6 e il 20 luglio sui fatti accaduti a Fermo, quindi un piccolo microcosmo su Twitter con numeri bassissimi che non permette di parlare dei social network in generale. Il virgolettato riportato in questo caso dal giornalista (ottenuto da una sintesi estrema di due paragrafi a pagina 51 dello studio), così come altre parti dell’articolo – dall’occhiello in cui si parla di “boom di razzismo” ai paragrafi precedenti dove si contrappongono i giornali ai social network –, non corrisponde a quanto si legge nello studio, scritto e curato da Paola Barretta e Giuseppe Milazzo dell’Osservatorio di Pavia.

Già nell’articolo che apre il report, intitolato Una corretta informazione come antidoto all’odio, Giovanni Maria Bellu, presidente dell’Associazione Carta di Roma, spiega infatti come esista un legame tra media tradizionali e discorsi d’odio tramite la “cattiva informazione” prodotta e che, per questo, i giornalisti non possono chiamarsene fuori:

Questo Rapporto ci dice che l’hate speech, il discorso d’odio, non riguarda in modo diretto il sistema dei media tradizionali. Non “produciamo” hate speech e, nella generalità dei casi, evitiamo di diventarne veicolo. Facciamo, con una certa efficacia, da filtro. Una buona notizia. Tuttavia dovremmo riflettere sul fatto che l’hate speech, quello che dilaga nei social network, trova alimento nella cattiva informazione. Ed è questa la ragione per cui non possiamo sentirci innocenti.

Proseguendo nella lettura nell’ultima parte del rapporto, in base al campione di tweet analizzati, si vede che la tematizzazione politica della vicenda “prolifera mescolando cronaca nera, disagio sociale, visioni politiche fino a sfociare nei social media in un violento scontro ideologico fra accuse di razzismo da una parte ed eccesso di buonismo verso gli immigrati dall’altra”.
Su Twitter, proseguono gli autori, si assiste così “a una sguaiata deumanizzazione del linguaggio”, con "insulti razzisti e sessisti violentissimi", “si estremizzano opinioni in un conflitto virtuale fra parti avverse, abbandonando ogni remora di giudizio; rabbia e disagio prendono il sopravvento sul lutto, sfaldando ogni collante di contratto sociale e civile”.

Ma questo, specificano subito dopo Barretta e Milazzo, non significa che i social media siano da raccontare come un luogo in cui vincono odio e razzismo:

Naturalmente, diciamolo subito per uscire da equivoci e luoghi comuni, la rete non è questo, la piattaforma accoglie ampi commenti di sdegno e questi discorsi di odio non rappresentano gli umori dei social media.

Le conclusioni, infine, non forniscono riscontri a quanto riportato nell’occhiello di Repubblica in cui si parla di “boom di razzismo sui social network”.

Anzi, si legge che se “nei giorni successivi al delitto i media tradizionali riescano a contenere l’informazione dentro confini di tolleranza, solidarietà per le vittime e condanna al razzismo”, anche “i commenti sui social media sono in gran parte anch’essi di sdegno per l’aggressione razzista e di solidarietà per le vittime”.

Il problema per quanto riguarda i social, dicono invece gli autori, è che su Twitter “i confini di tolleranza appaiono più permeabili a manifestazioni di intolleranza”, nonostante “le norme di autoregolamentazione di Twitter proibiscano linguaggi” aggressivi, violenti e di odio. Una vicenda che, concludono Barretta e Milazzo, “riapre la riflessione su libertà di espressione, discorsi d’odio e social media, e sugli strumenti da adottare per limitare la proliferazione di manifestazioni di violenza e intolleranza”.

Cosa dice il rapporto “Notizie oltre i muri”

Migranti e stampa, il 2016 è l'anno della metabolizzazione. Dopo il grande choc dell'estate e dell'autunno 2015, i giornali italiani stanno regolando il tono e abbassando il volume del racconto della “crisi dei rifugiati” o come si voglia chiamare il flusso imponente di arrivi attraverso il Mediterraneo. A parità di numero di articoli, meno urla, meno allarmi e più ragionamento.

Questo è il cambiamento certificato da Notizie oltre i muri 2016, l’ultimo rapporto dell'associazione Carta di Roma dedicato al racconto del fenomeno migratorio sui media italiani, in particolare giornali e tv e realizzato dall'Osservatorio di Pavia. Dieci mesi di lettura di 6 quotidiani nazionali (Corriere della Sera, il Giornale, Avvenire, l’Unità, la Repubblica, la Stampa) e di visione e ascolto dei telegiornali orario prime time delle 7 reti generaliste (Rai, Mediaset e La7) restituiscono una fotografia di un processo di “normalizzazione” in corso. Che non significa disinteresse, anzi.

A fine ottobre 2016, il record di notizie del 2015 era già battuto, con un incremento del 10% (e 100 volte superiore rispetto al 2013). Campione è l'Avvenire, che ha prodotto il maggior numero di articoli sull'immigrazione tra il 1 gennaio e il 31 ottobre: 349 titoli, vale a dire ben più di uno al giorno per il quotidiano della Cei.

I principali giornali e tg italiani ormai quotidianamente seguono l'immigrazione, la questione dei rifugiati, il fallimento delle politiche europee in materia e la retorica populista anti-migranti. Lo fanno «senza i picchi e i “record” di visibilità dell’anno precedente» spiega Paola Barretta dell’Osservatorio di Pavia.

Trend dei titoli sull’immigrazione nelle prime pagine dei quotidiani italiani, via Carta di Roma.
Trend dei titoli sull’immigrazione nelle prime pagine dei quotidiani italiani, via Carta di Roma.

Per capirsi, nel 2016 non c'è stato un caso come quello della foto di Alan Kurdi sulla spiaggia di Bodrum che per alcuni mesi ha segnato la rappresentazione giornalistica del flusso dei rifugiati. Oggi raccontare i rifugiati significa soprattutto provare a spiegare le politiche europee e nazionali che li riguardano. Sulla stampa italiana i titoli allarmistici diminuiscono, dal 46% del 2015 si passa al 27% di quest'anno mentre il tono degli altri è rassicurante (uno su dieci) e neutrale (addirittura il 63%), titoli e articoli in cui non è presente emotività né di segno positivo né negativo.

«È l'anno in cui si assiste allo scollamento tra rappresentazione dei media e percezione da parte delle persone» ha notato Ilvo Diamanti alla presentazione del rapporto a Montecitorio. «I media hanno un tono sempre meno ansiogeno ma tra la gente la rabbia diffusa rimane. E questa distanza è un fenomeno nuovo». Quest'allontanamento tra media e formazione dell'opinione pubblica ha varie ragioni, spiega il sociologo, tra cui la sopraggiunta abitudine dei lettori/telespettatori alle notizie sull'immigrazione. Ma questa novità, aggiungiamo noi, dimostra anche come la triangolazione virtuosa tra giornali, opinione pubblica e politica che ha retto le democrazie negli ultimi due secoli sia in una crisi, forse irreversibile.

Il racconto diventa politico

Malgrado l'aumento degli sbarchi in Italia (e una diminuzione del 60% in Europa), il racconto delle migrazioni si è raffreddato e “istituzionalizzato”. Da una parte perché profughi e rifugiati sono entrati a pieno titolo nell'agenda dei media italiani, dall'altra perché quel tema è diventato prettamente “politico”. La declinazione politica della questione è il modo in cui si parla del fenomeno nei tg e sui giornali italiani (oltre il 50% dei titoli hanno un taglio politico). Bruxelles, Roma o Lampedusa, Trattato di Dublino, Schengen, Juncker, Salvini, Grillo, Merkel e Renzi, l'immigrazione da un punto di vista politico viene raccontata soprattutto tramite questi nomi e questi luoghi, oggi. Intorno a questo tema si svolge, infatti, una delle battaglie più accese e polarizzate della politica italiana ed europea.

Dunque, meno breaking news ansiogene e più riflessione. Non è un caso che da un anno all'altro facciano un balzo in avanti (dal 6,5% al 21%) le notizie che affrontano il fenomeno migrazioni da un punto di vista sociale e culturale. In questo ambito rientra il dibattito sul burkini in spiaggia e tutti gli episodi di razzismo o xenofobia, come quelli seguiti all'omicidio del ragazzo nigeriano a Fermo.
Gli articoli sull'accoglienza, che erano di gran lunga i più frequenti sui giornali nel 2015, oggi calano del 20% rappresentando un terzo (34%) di tutti i titoli sull'immigrazione mentre l'associazione migranti-terrorismo/criminalità si assesta al 17% della copertura dei giornali.

La normalizzazione della presenza dei migranti e l'immigrazione come terreno di scontro politico hanno prodotto un nuovo stile nei titoli: il sarcasmo. In particolare, viene fatto l’esempio del Giornale, che si prende gioco del linguaggio del "politicamente corretto": Ora i giornali radical-chic censurano la parola Islam, Profughi non basta più, ora si dice deportati e Maria migrante, il Papa sempre più terzomondista?

Nei Tg i migranti non hanno voce

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Ai differenza dei giornali, i Tg nel 2016 hanno trasmesso un numero inferiore – sebbene ancora elevato – di news sull'immigrazione, 2954 pari a -26% rispetto al 2015. Nei notiziari di prima serata, la Rai e La7 privilegiano il tema dell'accoglienza (rispettivamente col 41% e 51%) mentre sulle reti Mediaset il frame preferito è “criminalità e sicurezza” col 37%.

In uno scenario tutto sommato in miglioramento, il rapporto di Carta di Roma mette in evidenza dei limiti, come la pressoché totale assenza della voce dei migranti. Nel 2016 solo il 3% dei servizi televisivi raccoglie le parole dei migranti, e spesso in contesti negativi. Una percentuale bassissima che addirittura è la metà di quella già esigua del 2015. Per fare un confronto i politici italiani ed europei intervistati sul tema dell'immigrazione durante i telegiornali rappresentano il 56%.

Foto in anteprima via Carta di Roma.

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