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Nicola Cosentino: il potere dei soldi

18 Dicembre 2011 6 min lettura

Nicola Cosentino: il potere dei soldi

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Matteo Pascoletti
@valigiablu - riproduzione consigliata
Tra i molteplici meriti, il libro Il Casalese, scritto da un gruppo di giornalisti campani (Massimiliano Amato, Arnaldo Capezzuto, Corrado Castiglione, Giuseppe Crimaldi, Antonio di Costanzo, Luisa Maradei Peppe Papa, Ciro Pellegrino, Vincenzo Senatore) ne ha uno in particolare: mostra l'importanza, di fronte a Nicola Cosentino, 'o 'mericano, di valutare l'intero groviglio di una ragnatela dai molti fili che è bene percorrere con lo sguardo e con la mente prima di addentrarsi nelle vicende giudiziarie che riguardano l’ex Sottosegretario all’economia e attuale coordinatore del PDL in Campania, accusato dalla procura di Napoli di concorso esterno in associazione mafiosa e su cui pende una seconda richiesta d’arresto, dopo quella già negata dalla Camera. Una ragnatela intricatissima governata da una legge ferrea: 
«in nessun altro caso come in quello di Nicola Cosentino una leadership politica in Campania è stata così massicciamente fondata, prim’ancora che sul consenso elettorale, sul potere dei soldi. Al punto che è praticamente impossibile raccontare la genesi, gli sviluppi e l’ascesa del fenomeno Cosentino senza tener conto della parabola imprenditoriale della sua famiglia». 
In questo senso, il solco entro cui Nicola Cosentino muove i passi della sua ascesa politica è tracciato dagli affari del padre Silvio, che già negli anni cinquanta è attivo nel settore carburanti, venti anni prima che sia fondata l’Aversana Petroli (1975), azienda che tra il 1997 e il 2006 diventerà una holding, capofila dei molteplici interessi economici della famiglia Cosentino; è dal padre Silvio, figlio di emigranti di ritorno, che Nicola eredita l’appellativo ‘o ‘mericano, a suggerire una continuità che si mantiene da una generazione all’altra. 
Un filo assai consistente della ragnatela, utile in questa recensione per dare un quadro sintetico del libro, passa per il rifiuto della Prefettura di Napoli, negli anni novanta, a rilasciare all’Aversana il certificato antimafia necessario per partecipare agli appalti pubblici: 
«La Prefettura, infatti, ha giudicato troppo compromettenti le parentele acquisite dei Cosentino. Il 10 giugno 1982, a Casapesenna, Giovanni ha sposato infatti Maria Diana, figlia di Costantino (’o repezzato), classe 1931, imprenditore edile originario di San Cipriano d’Aversa, finito in carcere nell’ambito dell’operazione Spartacus I. Ma anche altri due figli di Silvio ’o ’mericano si sono imparentati con esponenti della camorra casalese.»
Il certificato sarà rilasciato nel 2006 da un nuovo prefetto, Maria Elena Stasi, ribaltando dunque la decisione precedente (non essendo venuti meno, nel frattempo, i motivi che l’avevano prodotta). Un prefetto la cui storia merita d’essere seguita, perché in carica durante le elezioni del 2006, quelle del contestatissimo voto elettronico: proprio la prefettura di Caserta fu una di quelle che attirò le maggiori polemiche, andando in tilt per tre ore, almeno finché esponenti dei DS non occuparono praticamente la sede. Oggi Maria Elena Stasi è deputato del PDL, ed è dunque collega di Nicola Cosentino, la cui azienda di famiglia è stata aiutata non poco con quel certificato. 
Seguire l’ascesa politica di Nicola Cosentino significa dunque attraversare i mutamenti conosciuti dalla politica e dalla camorra campana, due tipi di potere che convergono, per cause diverse, su un terzo polo di attrazione, quello imprenditoriale, dando vita a un meccanismo consortile in cui tutte le parti coinvolte guadagnano a spese della comunità. È il boss Antonio Bardellino a comprendere la necessità di un mutamento, a metà anni ottanta: 
«Camorrista e imprenditore diventano, con Bardellino, la stessa persona. Le sue aziende di calcestruzzo e di movimento terra cominciano a condizionare l’intero sistema di assegnazione degli appalti pubblici e dei subappalti in provincia di Caserta. Ma Bardellino è anche un camorrista. Un camorrista carismatico. Ed è sotto il suo regno che tutti i clan dell’agro aversano si consorziano all’interno di un solo grande cartello criminale: il clan dei Casalesi.»
Mentre per la politica, dopo il crollo del muro di Berlino, il cambiamento è reso necessario dal ciclone Tangentopoli, che obbliga la classe dirigente campana (in linea con quella nazionale) a riposizionarsi per evitare di essere spazzata via nel declino che sta conoscendo l’esponente di spicco della Democrazia Cristiana, Antonio Gava, finito al centro di inchieste per corruzione e mafia. E nella crisi ideologica e nel bisogno generale di riposizionarsi, di fare terra bruciata attorno a chi è colpito da indagini, nella speranza di allontanarsi dal raggio d’azione dei magistrati, l’antico difetto italico del trasformismo e di una concezione assai liquida delle differenze tra schieramenti politici trova terreno fertile. 
Non deve stupire perciò se Cosentino, prima di entrare in Forza Italia, aveva ipotizzato l’adesione ad Alleanza Democratica, neo-partito fondato nel 1993 per rappresentare la volontà di cambiamento degli italiani. Non deve stupire, poiché questa disinvoltura trasversale nel guardare a possibili alleati è una delle caratteristiche del Cosentino politico. Lo si vede per esempio nelle amministrative del 2006, quando al secondo turno per l’elezione del sindaco di Salerno appoggia esplicitamente Vincenzo De Luca, pur di non far vincere gli uomini di Bassolino, il nuovo monarca campano. E lo si vede per esempio per un’azienda come la Impregeco, dove gli accordi tra opposti schieramenti sono sanciti a suon di poltrone spartite: 
«Resterà la percezione che in questi anni Cosentino – in continuità col suo predecessore al vertice del partito in Campania – punti ad un’interlocuzione con chi nel centrosinistra è alla guida di centri di potere per accrescere la propria posizione come punto di riferimento politico del centrodestra. Risvolti penali non se ne scorgono, ma sull’intento consociativistico non ci sono ombre. D’altronde, al netto dei sospetti circa eventuali saldature con l’imprenditoria criminale sui quali lavoreranno gli inquirenti, cos’altro è Impregeco se non un esempio di patto politico tra gli opposti schieramenti? Il superconsorzio nato per gestire il trasporto dei rifiuti e la gestione delle discariche segue in maniera perfetta le linee di un manuale Cencelli post-litteram: ai Ds la presidenza (con l’ex sindaco di Giugliano), alle opposizioni la vice-presidenza (Giuseppe Valente è uomo di Cosentino). Sarà proprio Valente – recita ancora il dossier Ferrero – a ricordare: il Consorzio faceva capo a due referenti politici, l’uno era Mario Landolfi quale espressione del partito Alleanza nazionale, l’altro era Cosentino, quale espressione del partito Forza Italia. Impregeco era un ente partecipato da tre consorzi, quello Ce4, e da quelli napoletani, di area centrosinistra (leggi Ds, Margherita e Udeur in prevalenza), Na1 e Na3.» 
Ma Gava e Bassolino esprimevano un potere in cui la politica e i partiti avevano un ruolo e una riconoscibilità, e non si erano ancora completamente degradati a prosecutori degli affari con altri mezzi. L’idea di potere incarnata da Cosentino, invece, vede ostacoli da aggirare o abbattere in tutto ciò che mina l’esercizio del potere, il cui fine è null’altro che il potere stesso, la cui forma privilegiata è naturalmente il denaro. Ecco perché Cosentino è interprete di primo piano di quel triangolo consortile tra camorra, politica e imprenditoria che si mette a punto a partire da Bardellino e da Casal di Principe. Ed ecco perché oggi un aggettivo come “Casalese” mantiene una duplice, ambigua accezione (simile a quella che accompagna gli abitanti di Corleone): una geografica, a indicare gli abitanti del comune campano, l’altra criminale, a indicare un affiliato ai clan della camorra. Ecco perché il suo nome e il nome di uomini di potere a lui vicini finiscono nei fascicoli di inchieste come quella sulla cosiddetta P3. Ed ecco perché, come risulta dalle intercettazioni, persino un membro del suo stesso partito come Caldoro, nel momento in cui è percepito come ostacolo da o’ ‘mericano, va abbattuto a colpi di dossier.
Il libro ha infine un’utile appendice che riporta l’ordinanza di custodia cautelare emessa dalla procura di Napoli all’indirizzo di Cosentino. Merita di essere letta come il finale aperto di una vicenda ancora da chiudersi, poiché Cosentino resta un politico influentissimo per il PDL, avendo contato negli anni (e presumibilmente contando ancora) sull’appoggio dello stesso Berlusconi e di politici di primo piano del centro destra come Dennis Verdini. La rinuncia al sogno di Presidente della Campania e la sconfitta del PDL nell’elezioni per il Sindaco di Napoli potrebbero non bastare per far uscire di scena 'o 'mericano, visto quanto è intricata la ragnatela di potere che lo avviluppa. Se alla Camera passasse la richiesta di arresto non riguarderebbe un uomo soltanto, riguarderebbe invece il vertice di un sistema di potere campano che, crollando, potrebbe trascinare con sé una parte consistente del centro-destra, e non solo. Sarebbe infine un allarme per una classe politica in cui, a tutti i livelli, i meccanismi consociativi sono fin troppo spesso una regola. Un allarme che suona così: se hanno arrestato lui, un giorno arriverà anche il mio turno?
Perciò leggere Il Casalese potrà aiutare a capire i retroscena di molte mosse che i parlamentari di entrambi gli schieramenti potrebbero condurre nelle prossime settimane, al solo scopo di preservare se stessi preservando Cosentino.

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