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Chi era Daphne Caruana Galizia e su cosa stava lavorando la giornalista uccisa a Malta

26 Ottobre 2017 16 min lettura

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Chi era Daphne Caruana Galizia e su cosa stava lavorando la giornalista uccisa a Malta

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di Claudia Torrisi e Andrea Zitelli

La macchina di una giornalista investigativa che esplode, con lei dentro. La violenta morte di Daphne Caruana Galizia, una delle voci più scomode dell’isola di Malta – tra i paesi membri dell’Unione europea –, ha sconvolto l’opinione pubblica internazionale. Frans Timmermans, vice presidente della Commissione Europea, ha affermato su Twitter che “se i giornalisti sono ridotti al silenzio, la nostra libertà è perduta”.‏

I media maltesi, in segno di protesta e come “atto di sfida”, il 22 ottobre scorso, hanno deciso di pubblicare tutti il messaggio “La penna sconfigge la paura”.

Prime pagine quotidiani maltesi, via Matthew Mirabelli/Agence France-Presse — Getty Images

Non sono ancora chiare le dinamiche dell’attentato, né sono stati individuati i responsabili da parte degli inquirenti. Abbiamo così ricostruito cosa si sa finora sulla sua morte, su cosa si concentrava il lavoro di Daphne Caruana Galizia e in che contesto politico e sociale la giornalista operava.

Cosa è successo a Malta

A Bidnija, nella parte settentrionale di Malta, nel primo pomeriggio dello scorso 16 ottobre, Daphne Caruana Galizia, una delle più note giornaliste investigative dell’isola, è stata uccisa da una bomba posizionata nella Peugeot 108 che aveva preso a noleggio.

via The New York Times

Per la forte esplosione, il rottame della macchina è stato ritrovato in un campo adiacente la strada. La giornalista era uscita da poco dalla propria abitazione per delle commissioni e aveva portato con sé il suo computer da lavoro. Tra i primi ad arrivare sulla scena è stato uno dei tre figli della donna, dopo aver sentito l’esplosione da casa, riporta Times of Malta.

L’auto di Daphne Caruana Galizia dopo l’esplosione, via Darrin Zammit Lupi/Reuters

Poco più di un’ora dopo l’attentato, il primo ministro maltese, Joseph Muscat, durante una conferenza stampa, ha affermato: «Tutti sanno che Caruana Galizia mi ha criticato fortemente, sia a livello politico che personale. Ma nessuno può giustificare in nessun modo questo atto barbarico».

Adrian Delia, leader del partito nazionalista all’opposizione, ha detto che quanto accaduto «è il crollo della democrazia e della libertà di espressione. Non staremo in silenzio».

Nella tarda serata dello stesso giorno, centinaia di cittadini maltesi si sono riversati in strada per una veglia in ricordo della giornalista uccisa.

Il giorno dopo l’attentato, Matthew Caruana Galizia, il figlio della giornalista (che fa parte del Consorzio di giornalismo investigativo che ha scoperto e lavorato sui Panama Papers, che “è il nome dato ai 11,5 milioni di documenti forniti da una fonte anonima, provenienti dallo studio legale Mossack e Fonseca di Panama – ritenuto una delle più grandi "fabbriche" al mondo di società offshore – ed emersi grazie a un’inchiesta giornalistica svolta a livello internazionale da 378 giornalisti, appartenenti a testate di diversi Paesi, associate nel "The International Consortium of Investigative Journalists" (ICIJ), spiega L’Espresso che ha condotto il lavoro in esclusiva per l’Italia), ha scritto un post su Facebook in cui ha attaccato il primo ministro maltese definendolo “un clown”, affermando che Malta è uno “Stato mafioso” (di seguito, la traduzione di una parte del post):

Il governo di Malta ha permesso che si alimentasse una cultura di impunità. È di poco conforto sapere che il premier di questo Paese ora dica che non avrà pace fino a quando gli assassini non saranno trovati, quando è lui a guidare un governo che incoraggia la stessa impunità. Prima ha riempito il suo ufficio di corrotti, poi ha riempito la polizia di corrotti e imbecilli, infine ha riempito i tribunali di corrotti e incompetenti.

A esprimersi pubblicamente, oltre l’Istituto dei giornalisti maltesi, c'è stato anche un gruppo di ONG locali che ha richiesto “un'indagine indipendente per esaminare se la polizia ‘abbia adottato le misure necessarie’ per proteggere Caruana Galizia e se la sua violenta morte sarebbe potuto essere evitata”, riporta ancora Times of Malta. Poche ore dopo l’attentato, infatti, la tv maltese pubblica TVM aveva diffuso la notizia che la giornalista due settimane prima aveva presentato alle forze dell’ordine una relazione sulle minacce ricevute. La Polizia, però, successivamente ha negato che nelle due settimane precedenti fossero state presentate alla stazione di Musta (competente anche per il distretto di Bidnija, dove la giornalista viveva) segnalazioni di minacce contro Caruana Galizia. Dario Morgante sul Corriere di Malta scrive che non è esclusa la possibilità che la giornalista “abbia presentato una relazione in una stazione di polizia diversa”.

La forze dell'ordine e in particolar modo il commissario capo Lawrence Cutajar sono stati attaccati duramente, dopo l’uccisione della reporter. A causare le forti critiche e le richieste di dimissioni di Cutajar sono stati vari fattori, si legge su Malta Independent: poche ore dopo l’attentato, Ramon Mifsud, un sergente di polizia, ha pubblicato uno status sulla sua pagina Facebook in cui si rallegrava della morte della giornalista. Il poliziotto è stato sospeso ed è stata aperta un’indagine su di lui, ma non è stato licenziato; la prima conferenza stampa della polizia sull’uccisione di Caruana Galizia è avvenuta più di 48 ore dopo l’attentato; inoltre, dei cinque precedenti attentati esplosivi avvenuti negli ultimi due anni a Malta ancora per nessuno di essi è stato trovato il responsabile/i responsabili. Sono così nate petizioni online con nuove richieste di dimissioni di Cutajar, accusato di non saper fare il proprio lavoro, di non riuscire a proteggere i comuni cittadini e in particolar modo quelli che ne hanno più bisogno perché minacciati.

Ci sono state proteste contro il commissario di Polizia anche durante la manifestazione di domenica 22 ottobre nella capitale maltese La Valletta – organizzata da una rete di associazioni della società civile – con migliaia di cittadini scesi in strada per chiedere verità e giustizia per l’uccisione di Caruana Galizia. Arrivati davanti la sede della polizia, diversi manifestanti hanno infatti ribadito con slogan la richiesta di dimissioni di Cutajar (come anche del procuratore generale dell’isola). Interrogato dai media, il commissario di polizia non ha rilasciato commenti di risposta.

Il giorno prima, il governo maltese aveva offerto un premio di un milione di euro e protezione completa a chiunque fornisse informazioni (anche in maniera confidenziale) su chi ha ucciso la giornalista: «Questo è un caso di straordinaria importanza e richiede misure straordinarie e giustizia deve essere fatta, a qualsiasi costo». In un post su Facebook i tre figli della giornalista hanno però respinto l’appoggio all’iniziativa del governo, chiedendo le dimissioni del premier “per non aver fatto rispettare le nostre libertà fondamentali” e per non essersi opposto alla crescita della paura, della sfiducia, del crimine e del corruzione nella vita di tutti i giorni a Malta.

Le indagini, cosa sappiamo

Come dichiarato dalla polizia in conferenza stampa, Malta, per le indagini, ha richiesto l’intervento “tecnico” dell’FBI e di un team forense olandese.

Nell’attentato sarebbe stato utilizzato un esplosivo plastico (non è stato ancora confermato dalle auotirità dove sarebbe stato posizionato) molto più potente di qualsiasi altro materiale utilizzato in altri attentati verificatesi negli ultimi anni nell’isola, scrive il Corriere di Malta. Secondo alcuni media, che citano fonti investigative, si trattarebbe di Semtex, un esplosivo militare non prodotto a Malta e quindi importato da fuori. A rafforzare questa ipotesi sarebbe anche il racconto di Frans Santo, finora unico testimone dell’attentato, che stava guidando in direzione opposta a quella della giornalista. Santo ha affermato di aver udito un’esplosione piccola (forse un detonatore) seguita pochi secondi dopo da una più potente (la carica principale). Secondo gli esperti questa dinamica raccontata dal testimone è in linea con l'uso di Semtex. Tuttavia, in base a quanto riportato da tvm.com.mt, finora non c'è ancora alcuna prova scientifica che l'esplosivo utilizzato sia stato il Semtex: “Una fonte vicina agli investigatori ha dichiarato che è un errore in questa fase arrivare a questa conclusione, quando le analisi in laboratorio per determinare di quale esplosivo si tratta sono ancora in corso”.

Racconta Rainews, inoltre, che questo esplosivo, in base a quanto riferito alla giornalista americana Ann Marlowe da una fonte libica (ritenuta dalla reporter affidabile), sarebbe arrivato dal porto di Zwara in Libia, «dove c'è il quartier generale di Fahmi Salim [ndr Bin Khalifa, il "re del contrabbando di petrolio libico", spiega il canale] che lavora con criminali maltesi e italiani». Marlowe, nel 2015, aveva pubblicato un articolo su Asia Times sul contrabbando di combustibile dalla Libia dopo la rivoluzione e la fine regime del colonnello Mu'ammar Gheddafi.

Anche partendo da questa presunta provenienza dell’esplosivo, secondo un’inchiesta (ora non più disponibile online. Qui la copia cache) della stessa RaiNews del 23 ottobre, “una delle piste più credibili” nella morte della giornalista “riguarda il contrabbando di carburante tra Libia e Italia, quello al centro dell'inchiesta Dirty Oil della procura di Catania”. Il giorno successivo, il Guardian pubblica un articolo in cui Carmelo Zuccaro, procuratore di Catania, afferma di «non poter escludere» che alcuni degli uomini indagati nella sua inchiesta – i cui traffici arrivano in Libia, Malta e Italia – potrebbero essere dietro l'omicidio di Caruana Galizia: “«In passato ha scritto nei suoi articoli di traffico di combustibile tra Libia e Malta», ha detto Zuccaro, aggiungendo che alcune delle persone coinvolte nella sua inchiesta erano state nominate dalla giornalista in parecchi articoli”.

Lo stesso giorno, MaltaToday contatta il procuratore di Catania. Zuccaro specifica al giornale maltese che il nome di Caruana Galizia non compare in Dirty Oil: “«Nemmeno nelle intercettazioni telefoniche», aggiungendo che l’indagine è ancora in corso”. Fonti vicine agli inquirenti maltesi, comunque, riferiscono che la polizia non ha escluso ancora nessuna pista e che si sta cercando di stabilire se la giornalista stesse lavorando a qualcosa che non era ancora stato pubblicato.

Riguardo alle modalità dell’attentato, i media maltesi, citando sempre fonti investigative, scrivono infine che la bomba sarebbe stata attivata in remoto, attraverso un telefono cellulare. Questo potrebbe significare che il responsabile (o i responsabili) sarebbe stato vicino al luogo dell’esplosione.

Circa due mesi dopo l'omicidio, il 6 dicembre, tre uomini, già noti alla polizia maltese, sono stati incriminati per l’omicidio della giornalista, scrive Times of Malta. I tre – i fratelli Alfred Degiorgio e George Degiorgio e Vince Muscat – si sono dichiarati non colpevoli. Gli investigatori avrebbero sequestrato anche una barca da cui – secondo quanto riferito da fonti della polizia al quotidiano maltese – uno degli assassini di Daphne Caruana Galizia avrebbe inviato un sms che ha innescato la bomba. “George Degiorgio avrebbe inviato l'sms fatale dopo aver ricevuto il via libera da suo fratello Alfred che stava controllando la residenza di Caruana Galizia a Bidnija. Il terzo uomo accusato dell’omicidio si pensa che controllasse da un altro punto di osservazione”, si legge su Times of Malta.

Questi tre arresti fanno parte dei 10 cittadini maltesi fermati dalla polizia, in varie località dell’isola, lunedì 4 dicembre all’alba perché sarebbero collegati all'omicidio della giornalista. Nessuna notizia invece riguardo a un possibile mandante dell’omicidio.

Chi era Daphne Caruana Galizia e su cosa lavorava

Ma chi era Daphne Caruana Galizia? La giornalista e blogger aveva 53 anni e, come scrive John Henley, corrispondente a Malta per il Guardian, “si era fatta molti nemici in 30 anni di attività da quando aveva iniziato a scavare sugli alti livelli di corruzione nella politica e tra le élite commerciali e criminali maltesi – che spesso, direbbe lei, coincidono o perlomeno sono strettamente connesse”.

La sua carriera era cominciata agli inizi degli anni ‘90 come giornalista per The Malta Independent e The Malta Independent on Sunday. Circa 10 anni fa, poi, nel 2008, aveva aperto il blog Running Commentary, divenuto nel tempo uno dei più letti e popolari dell’isola. Politico, che l’aveva inserita al 26esimo posto nella classifica delle “28 personalità che stanno agitando l'Europa” nel 2017 definendola “‘una donna Wikileaks’ che conduceva una battaglia alla non trasparenza e alla corruzione a Malta, scriveva che in un giorno “Galizia raggiunge 400mila lettori, più della circolazione combinata dei giornali del paese (la popolazione di Malta è di 420mila persone)”.

Attraverso il proprio blog, Caruana Galizia “attaccava” il governo laburista del primo ministro di Malta. Ma i suoi obiettivi – in cui c’era anche il leader del partito nazionalista, che nei mesi scorsi aveva presentato anche quattro denunce per diffamazione nei suoi confronti (ora ritirate) –, si riferivano a guadagni illeciti, clientelismo, corruzione, crimine organizzato, banche che favorivano il riciclaggio di denaro sporco e l’evasione fiscale, aziende di gioco d’azzardo online con infiltrazione mafiosi e trafficanti di droga, spiega sempre Henley.

Per i suoi post, articoli e per gli argomenti trattati, Caruana Galizia subiva quasi quotidianamente da anni minacce di morte e attacchi, come raccontato da suo figlio Matthew: «Ci siamo cresciuti insieme. Telefonate, lettere, note appuntate alla porta. Poi quando arrivarono i telefoni cellulari, gli sms. E poi, naturalmente, email, commenti sul suo blog. Per non parlare delle cause legali. Tante cause legali». Oltre le minacce, si verificarono nel tempo anche ritorsioni. Nel 2006, ad esempio, poco dopo la pubblicazione di un articolo critico sui gruppi neo-nazisti a Malta, una pila di pneumatici dietro la sua casa fu data alle fiamme, si legge sul Washington Post.

Nel 2016, Caruana Galizia, partendo da quanto emerso dall’inchiesta denominata “Panama Papers” che riguardava società offshore con nomi internazionali di azionisti e manager coinvolti, aveva pubblicato la notizia del coinvolgimento nello scandalo di alcuni politici governativi, Konrad Mizzi, ex ministro dell'Energia, e Keith Schembri, ex capo di gabinetto.

Nell’aprile di quest’anno poi, la giornalista aveva fatto parlare di nuovo di sé fuori dai confini di Malta, pubblicando articoli che svelavano come, spiega Stefano Vergine sull’Epresso, “la Egrant Inc, una società registrata a Panama e di cui fino ad allora non era mai stato individuato il beneficiario finale”, appartenesse a Michelle Muscat, la moglie del primo ministro maltese. Caruana Galizia pubblicò anche “alcuni documenti che dimostrano come la società panamense nel 2016 abbia ricevuto diversi bonifici, il maggiore dei quali da oltre 1 milione di dollari, da parte della Al Sahra FZCO, una offshore registrata a Dubai e appartenente a Leyla Aliyeva, figlia del dittatore dell'Azerbaigian Ilham Aliyev. Insomma Galizia ha rivelato – con tanto di documenti pubblicati online – che la moglie del premier maltese ha ricevuto milioni di euro dal regime azero. Il quale negli ultimi anni ha firmato parecchi accordi in campo energetico con il governo laburista de La Valletta”.

La notte del 20 aprile, subito dopo le rivelazioni di Caruana Galizia, i giornalisti delle maggiori testate locali si sono recati sotto la sede maltese della Pilatus Bank, presso cui l’offshore della moglie del premier aveva aperto il conto corrente e hanno filmato il proprietario e il presidente dell’istituto di credito – l’iraniano Seyed Ali Sadr Hasheminejad – mentre uscivano dalla porta secondaria con delle grosse valigie. Secondo i reporter, si sarebbe trattato di documenti relativi alle società incriminate. Una versione negata da Hasheminejad, ma che ha scatenato critiche e polemiche nei confronti di Muscat e del governo. Nel frattempo, la whistleblower ex dipendente della Pilatus dietro le rivelazioni di Caruana Galizia ha dichiarato che la sua famiglia ha subito intimidazioni da parte di detective privati russi “assoldati da persone di Malta”. Nel pieno dello scandalo, Muscat aveva indetto elezioni anticipate, che si sono tenute lo scorso 3 giugno e vinte di nuovo dal leader laburista.

Negli ultimi mesi, Caruana Galizia si era concentrata anche sul sistema di vendita della cittadinanza maltese in vigore sull’isola, definendolo un lasciapassare per la corruzione e un invito aperto a personaggi facoltosi ma poco limpidi a stabilirsi a Malta. Il sistema di vendita legale di cittadinanza Ue a stranieri facoltosi è un business redditizio per l’isola: nel 2016 più di 900 hanno comprato un passaporto maltese, per un costo di 650 mila euro a documento per richiedenti non europei, contribuendo circa al 16% dei ricavi di bilancio del paese. A maggio Simon Busuttil, del Partito Nazionalista di opposizione, ha affermato di avere le prove che Muscat e il suo capo di gabinetto Schembri abbiano ricevuto tangenti attraverso società offshore per la vendita di passaporti maltesi ad alcuni extracomunitari molto ricchi. Le accuse sono state negate da Schembri, che ha annunciato azioni legali.

Poco prima di morire, Caruana Galizia nel suo ultimo post nel blog riguardo al processo per corruzione nei confronti dell'ex ministro dell'Energia Schembri, ha scritto: “Ci sono ladri ovunque guardi, adesso. La situazione è disperata”.

Malta tra affari, criminalità e inchieste giornalistiche e giudiziarie

L’omicidio di Caruana Galizia va inserito in un contesto in cui, come abbiamo letto, evasione fiscale, corruzione e crimine sono strettamente intrecciati. Secondo un articolo del Times of Malta, nonostante la popolarità del primo ministro sia ai massimi livelli e l’economia viva un momento di prosperità, nel paese “c’è qualcosa di marcio in profondità, così marcio da minacciare di mandare tutto quanto a rotoli”.

Lo scorso maggio il ministro delle Finanze del Nord Reno Westfalia, Norbert Walter-Borjans ha definito Malta la “Panama d’Europa” dopo essere venuto a conoscenza della presenza di oltre 70 mila società offshore sull’isola. «I dati mostrano come aziende e individui utilizzano questa isola del Mediterraneo per sfuggire in massa alle imposte. È fatto in parte grazie a trucchi legali, ma anche spesso attraverso delle società offshore il cui solo obiettivo è creare sistemi di evasione fiscale», aveva detto Walter-Borjans, accusato successivamente dal ministro delle Finanze maltese Edward Scicluna di aver gonfiato il caso per ragioni politiche.

Gli stessi documenti visionati dalle autorità tedesche sono finiti al centro dei Malta Files, un’inchiesta giornalistica del filone dei Panama Papers condotta
dall’European Investigative Collaborations (EIC), rete internazionale composta da 13 media, che ha confermato come l’isola funzioni come “base pirata per l’evasione fiscale nell’Unione Europea”: “Nonostante tragga profitto dai vantaggi dell’essere membro Ue, Malta accoglie grosse società e ricchi privati che cercano di eludere le tasse nei loro paesi d’origine”.

“Malta, in effetti, – spiega un articolo di MediaPart – ha il tasso d’imposta sui profitti delle società più basso d’Europa. Il tasso ufficiale è del 35%, ma quando una società detenuta da stranieri distribuisce gli utili ai suoi azionisti, il fisco le rimborsa l’85% delle imposte. Quindi il tasso reale scende ad appena il 5% per le società offshore”. Questo meccanismo porta al moltiplicarsi di “società ‘cassette della posta’, il cui solo scopo è raccogliere soldi. L’isola è diventata l’eldorado per le banche e 581 fondi di investimento, i cui attivi rappresentano 789% del PIL maltese”. Altre nicchie fiscali proposte da Malta riguardano “entrate da marchi e brevetti, assicurazioni, giochi e scommesse online, aviazione, navi”.

Un lungo articolo pubblicato sul settimanale L’Espresso – che ha partecipato all’inchiesta sui Malta Files – spiega come le ditte iscritte al registro pubblico crescano “al ritmo di 4-5 mila l’anno” e che la ragione di questo miracolo economico è il fisco: “Per creare una società a Malta bastano un paio di giorni”, e quindi “un gran numero di investitori” usano l’isola per “un redditizio gioco di sponda fiscale”. Secondo L’Espresso “la legge maltese ha steso un tappeto rosso agli investitori stranieri che creano società sull’isola. (...) Per dare un taglio alle imposte basta quindi trasferire reddito dalla società con base in Italia (dove l’imposta viaggia al 24%) a quella registrata a Malta”. Un’operazione facilitata dal fatto che “il piccolo Stato mediterraneo non solo è fuori dalle black list dei paradisi fiscali, ma è anche membro dell’Unione Europea”.

A settembre del 2016 un’inchiesta di Malta Today aveva rivelato che l’isola ogni anno elimina 2 miliardi di euro di tasse estere attraverso i rimborsi alle società di proprietà straniera. Stime confermate da un rapporto realizzato dal gruppo dei Verdi al Parlamento Europeo pubblicato lo scorso gennaio, secondo il quale Malta ha aiutato le multinazionali a eludere 14 miliardi di euro di tasse tra il 2012 e il 2015 – soldi che sarebbero dovuti andare in altri paesi dell’Ue.

Secondo l’europarlamentare tedesco Fabio de Masi (vicepresidente della commissione del Parlamento Europeo sui Panama Papers), “Malta non è solo un paradiso fiscale”, perché l’esperienza insegna che sistemi come questo “sono lo strumento perfetto anche per riciclare denaro sporco”. Dalle inchieste è in effetti emersa la presenza di organizzazioni criminali nel tessuto imprenditoriale con sede sull’isola. Tra i casi analizzati dall’Espresso per i Malta Files, ad esempio, ci sono le attività di Bruno Tucci, un imprenditore italiano di base a Malta attraverso il quale il clan camorristico dei Casalesi mirava a riciclare il proprio patrimonio aprendo locali notturni, ristoranti, società di gaming sull’isola.

Nel 2015 una maxi-inchiesta giudiziaria per riciclaggio ha portato al sequestro di due miliardi di euro tra società, denaro e immobili e all’arresto di Mario Gennaro, boss della ‘ndrangheta che, pentitosi, ha raccontato di essere stato mandato a Malta dalle cosche più potenti di Reggio Calabria per investire in siti di poker e scommesse online. Un settore, quello del gioco d’azzardo, che rappresenta il 10% del prodotto interno lordo dell’isola. Il clan rappresentato da Gennaro, scrive L’Espresso, a Malta “poteva contare su una ventina di società”.

Il sistema maltese è terreno più che fertile per il dilagare di clientelismi e corruzione, come dimostrato da diversi scandali che si sono succeduti negli ultimi anni. Nel 2015, ad esempio, il deputato Toni Abela, vicesegretario del Partito Laburista al governo, ha ricevuto circa 100 mila euro di soldi pubblici come compenso per consulenze legali fornite ai ministeri dei Trasporti e della Solidarietà Sociale e al Dipartimento per l’esplorazione petroliferi – tutte autorità gestite da colleghi di partito.

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Secondo Transparency International, la gravità del livello di corruzione a Malta “è esemplificato dal fatto che, secondo un report commissionato dal Parlamento Europeo, il paese ha perso almeno l’11,67% del prodotto interno lordo (circa 1,25 miliardi di dollari) a causa della corruzione ogni anno tra il 1995 e il 2014”.

Foto anteprima via ibtimes.co.uk

Articolo aggiornato con gli arresti di dicembre che sarebbero collegati all'omicidio della giornalista.

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