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L’italia è oltre il punto di non ritorno

9 Novembre 2011 3 min lettura

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L’italia è oltre il punto di non ritorno

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Crisi del debito: secondo un documento riservato della Barclays Capital del 7 novembre, reso pubblico sul sito Zerohedge.com, difficilmente ne usciremo vivi. Con o senza Berlusconi.
L'Italia è già oltre il punto di non ritorno. Anche se fossero messe in moto le riforme chieste dall'Europa, giudicate una condizione necessaria ma non sufficiente per portare il Paese fuori dal baratro. È quanto argomenta un'analisi della banca d'affari Barclays Capital datata 7 novembre. Poche ma dense pagine che sotto il titolo Can Italy save itself? (L'Italia può salvarsi?) dipingono uno scenario drammatico. 
«Al cuore del problema italiano c'è la fiducia», scrivono gli analisti di Barclays. E se «dal punto di vista teoretico è impossibile escludere» che le riforme da sole generino uno scossone sufficiente a riportare l'Italia al riparo dal rischio di default, l'eventualità è considerata «molto improbabile». Del resto, «gli investitori hanno visto troppi programmi di consolidamento fiscale e di riforma fallire». Per questo servirà «molto tempo», scrive Barclays, prima che le attuali promesse li convincano a cambiare idea. E prima che si producano gli effetti benefici degli interventi. Ma è proprio il tempo che i mercati non hanno intenzione di concedere, come testimoniato dai livelli record raggiunti dallo spread Btp-Bund in queste ore, e dai ripetuti crolli borsistici. 
A dire che le riforme, anche se messe in cantiere subito, non basteranno sono anche e soprattutto i numeri. Innanzitutto, quelli ricavati da situazioni analoghe verificatesi in passato, afferma lo studio. Inoltre, «le dinamiche del debito italiano non tornano a meno che i tassi di interesse siano inferiori al 5,5% circa». A tassi più elevati, infatti, «il debito cresce più del Pil, finendo per richiedere una ristrutturazione del debito». Ancora, l'Italia è giunta a un livello per cui rendimenti più alti non rendono i suoi titoli di Stato più attraenti per gli investitori. E questo perché «incompatibili con la sostenibilità del debito», il che aumenta il rischio di default. Il timore, scrivono gli analisti di Barclays, è che si instauri un circolo vizioso tra aumento dei tassi di interesse, dubbi sulla sostenibilità del debito e ulteriore aumento dei tassi che finisca per generare una «profezia che si autoavvera» sul fallimento del Paese. A complicare il tutto, la consapevolezza che un crollo dell'Italia avrebbe riflessi sull'intero sistema finanziario globale. 
Che fare? Per Barclays si tratta di operare su due fronti: attuare, una buona volta, le riforme e convincere la Bce a giocare un ruolo ancora maggiore di prestatore di ultima istanza. Quanto al primo punto, bisogna intervenire: 
1) sul mercato del lavoro, modificando la contrattazione collettiva in favore di «accordi a livello dell'impresa»; 
2) sulle pensioni, innalzando l'età pensionabile e parificandola per uomini e donne; 
3) sulla pubblica amministrazione, adeguando salari e produttività e promuovendo la mobilità nel lavoro; 
4) liberalizzando gli ordini professionali. 
Serve inoltre un «significativo» piano di privatizzazioni dei beni posseduti dallo Stato, con l'obiettivo di riportare il rapporto tra debito pubblico e Pil almeno al 100% nei prossimi 2-3 anni. 
Quanto al ruolo della Bce, l'analisi auspica la creazione di un prestatore di ultima istanza «più efficace» di quello attuale. Il potenziamento dell'EFSF, il fondo salvastati europeo, «è un passo nella direzione giusta», scrive Barclays, ma non è abbastanza. È la Banca centrale europea a dover assumere un ruolo ancora più deciso nel salvataggio dei Paesi in difficoltà, Italia in primis. Perché è l'unica istituzione con un bilancio che glielo consente. 
Perché ciò basti, tuttavia, serve una «soluzione definitiva» alla crisi del debito della Grecia. Oltre a a una classe dirigente che sia almeno in grado di compiere i passi necessari, anche se non sufficienti. Ma «la resistenza politica alle riforme», scrive Barclays in relazione all'Italia, «non sarà facile da vincere; altrimenti le riforme sarebbero già state fatte». Profetico, se si considera che l'analisi è stata condotta prima che la maggioranza si sfaldasse e diventasse a tutti gli effetti minoranza con il voto dell'8 novembre sul rendiconto dello Stato.
Fabio Chiusi
@valigiablu - riproduzione consigliata

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