Diritti Digitali Post

La guerra del copyright parte dalle pay-tv

5 Agosto 2015 5 min lettura

author:

La guerra del copyright parte dalle pay-tv

Iscriviti alla nostra Newsletter

5 min lettura

Geo-blocking

Nell'Europa dove il cittadino può spostarsi liberamente e senza restrizioni, paradossalmente i contenuti digitali non hanno tale libertà. L'accesso ad un servizio online e l'acquisto di contenuti digitali, è soggetto a limitazioni territoriali.
Sono quelle barriere che hanno determinato ritardi nell'espansione di servizi come Spotify (4 anni per raggiungere 13 paesi europei) o Netflix.

Nell'ambito del piano per il Digital Single Market (DSM), cioè la realizzazione di un mercato unico europeo, dove appunto i servizi dovrebbero essere raggiungibili da qualsiasi Stato e usufruibili allo stesso prezzo da qualsiasi nazione europea, si è imposta come necessaria l'eliminazione della frammentazione del mercato europeo, e quindi delle barriere territoriali, questo perché appare evidente che il geo-blocking, cioè la pratica utilizzata dai fornitori di servizi e contenuti online che limita l'accesso ai contenuti a seconda del paese di residenza, riduce i possibili clienti e quindi i profitti per i produttori.

In realtà la questione non sta proprio in questi termini, perché tali pratiche sono il risultato di accordi tra gli operatori al fine di suddividere artificialmente il mercato e così massimizzare i profitti a scapito dei consumatori (price discrimination).
I produttori americani tipicamente licenziano i contenuti (film) ad una sola emittente pay-tv per ciascuno Stato (esempio: Sky per Regno Unito e Irlanda), imponendo specifiche clausole che impediscono all'emittente di vendere prodotti in altri Stati (vendite attive) ma anche di accettare offerte da parte di consumatori di altri Stati (cosiddette “vendite passive”, cioè realizzate in Stati dove l'emittente non sta pubblicizzando i servizi). Di contro gli accordi con le altre emittenti individuate per gli altri Stati, impediscono a queste di vendere prodotti in UK e Irlanda.
Il problema si pone per le vendite passive visto che, secondo la Commissione europea, l'attuale normativa permette la limitazione delle vendite attive.

Il geo-blocking è una delle chiavi del finanziamento dell’industria del copyright. I guadagni dell'industria dipendono dalla vendita degli stessi prodotti (film) più e più volte in diversi mercati e per diverse piattaforme. In tal modo si realizza una frammentazione del mercato in modo che le emittenti possano agire in regime di monopolio, con possibilità di tenere artificialmente alto il prezzo, non sussistendo alcuna effettiva concorrenza. Insomma, una forma di protezionismo.
È da notare che tale compartimentazione è specifica del mercato dei contenuti protetti da proprietà intellettuale, e non si riscontra in altri mercati (offline) nei quali è vietata l'istituzione di tariffe protezionistiche all'importazione dei beni. Senza tenere conto che negli Usa esiste, invece, un vero e proprio mercato digitale unico.

Purtroppo tali pratiche finiscono per incidere pesantemente sui consumatori che devono pagare costi di licenza superiori, spesso non possono accedere a determinati contenuti non presenti nei loro paesi, sicuramente non possono accedere ai contenuti regolarmente acquistati in un paese se si trasferiscono (o semplicemente viaggiano) in un altro paese.
Nel 2011 la Corte di Giustizia europea (Premier League c. Murphy, cause riunite C-403/08 e C-429/08) ha stabilito che tali accordi non possono essere giustificati dalla necessità di garantire un'adeguata remunerazione per i titolari dei diritti, considerato che questo potrebbe essere calcolato tenendo conto del pubblico effettivo e potenziale, sia nello Stato membro di emissione che in tutti gli altri Stati membri nei quali sono ricevute le trasmissioni.

Indagine antitrust sulle payTV

Il 23 luglio 2015 l'antitrust della Commissione europea ha inviato una comunicazione di addebiti a Sky del Regno Unito e sei dei principali studios cinematografici statunitensi: Disney, NBC Universal, Paramount Pictures, Sony, Twentieth Century Fox e Warner Bros. Si tratta di un passo formale nell'ambito di una indagine per violazione delle norme anticoncorrenziali.
L'indagine, iniziata nel gennaio del 2014, riguarda l'accordo bilaterale tra Sky e gli studios per mettere in atto delle restrizioni contrattuali al fine di impedire a Sky UK di consentire ai consumatori situati al di fuori del Regno Unito di accedere ai contenuti a pagamento.
Secondo la Commissione le 7 società avrebbero violato le norme che impongono di non porre in essere accordi anticoncorrenziali (art. 101 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea).

European consumers want to watch the pay-TV channels of their choice regardless of where they live or travel in the EU. Our investigation shows that they cannot do this today, also because licensing agreements between the major film studios and Sky UK do not allow consumers in other EU countries to access Sky's UK and Irish pay-TV services, via satellite or online. We believe that this may be in breach of EU competition rules. The studios and Sky UK now have the chance to respond to our concerns (Margrethe Vestager, capo dell'antitrust)

A seguito della comunicazione di addebiti le aziende possono rispondere all'accusa. Non c'è un termine entro il quale l'indagine debba completarsi, comunque una eventuale multa sarebbe dell'ordine del 10% delle vendite annuali (Fox 3 miliardi, Sony 7 miliardi).

Ovviamente non si tratta dell'unica indagine in materia, visto che la Commissione sta analizzando gli accordi di licenza tra gli studi cinematografici e altre emittenti europee (Canal Plus Francia, Sky Italia, DTS Spagna, Sky Deutschland).
L'industria del copyright critica la mossa della Commissione, sostenendo che ammettere le vendite passive sarebbe il cavallo di Troia per far cadere completamente le barriere territoriali. E le barriere territoriali, precisano, sono necessarie per finanziare le costosissime produzioni.

Riforma del diritto d'autore

In questo contesto la Commissione europea sta cercando di portare avanti la riforma del diritto d'autore in ambito UE, il cui proposito è di armonizzare le norme dei singoli Stati arrivando quindi ad un unico mercato europeo, appunto il DSM, il cui scopo è migliorare l'accesso dei cittadini comunitari ai contenuti digitali, da godere anche in un eventuale viaggio attraverso l'Europa.
Infatti il problema si è posto anche nel corso della discussione sulla riforma del copyright, e in particolar modo da parte di Julia Reda, vice presidente del Gruppo dei Verdi, Rapporteur del Parlamento sulla revisione della Direttiva Copyright, ed esponente dell’European Pirate Party, che è stata incaricata di analizzare l’attuale normativa per rinnovarla e renderla al passo coi tempi.
Un apposito capitolo della relazione riguarda, appunto, l'eliminazione delle barriere nazionali per armonizzare le regole in tutta l'Unione.

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

Il geo-blocking, allora, è un problema di copyright oppure di concorrenza?

L'azione investigativa della Commissione entra nel vivo proprio quando la riforma europea del diritto d'autore sembra subissata di emendamenti tesi a depotenziarla.
L'avvio della fase “calda” dell'indagine potrebbe essere un modo politico per ovviare alle pressioni lobbistiche dell'industria che a fine anno, quando partirà la discussione legislativa sulla riforma in materia di copyright, potrebbero scatenarsi.

In ogni caso la situazione per i consumatori è piuttosto frustrante. Se prendiamo l'esempio di Netflix, osserviamo che la programmazione americana è decisamente più ricca rispetto ad altre nazioni, e in ogni nazione il suo palinsesto appare diverso.
Il problema non è di poco conto, anche perché appare ovvio che l'industria del copyright continua a perseguire sempre gli stessi errori.
Circa 20 anni fa Markus Kuhn scrisse un software, Season7, proprio per consentire ai fan europei di Star Trek di vedere i programmi Sky che non erano accessibili al di fuori della Gran Bretagna. Prima di scrivere il software Kuhn chiese anche un regolare abbonamento dalla Germania, ma gli fu negato proprio per le limitazioni territoriali. Il software fu poi utilizzato da tantissimi europei per accedere gratuitamente alle trasmissioni Sky, dando l'avvio ad una massiccia pirateria.

Segnala un errore