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Il Giornale contro la sinistra: Breivik è un folle, l’estremismo di destra non c’entra.

27 Luglio 2011 7 min lettura

Il Giornale contro la sinistra: Breivik è un folle, l’estremismo di destra non c’entra.

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Scrive Marcello Veneziani oggi su Il Giornale

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Questa volta l’avete fatta sporca, amici e nemici della sinistra nostrana. Sui giornali di sinistra insistono da giorni a dare una connotazione politica alla strage compiuta dal mostro di Oslo. […] Cosa differenzia un terrorista politico da un mostro malato di paranoia? Il fatto che il primo compie il suo atto nell’ambito di un gruppo e con il consenso di un’area da cui il gruppo attinge le sue leve, colpendo obbiettivi mirati e condivisi. Il secondo invece compie il suo gesto nella solitudine della sua mente malata, spesso colpendo obbiettivi che sono la proiezione della sua paranoia. 
Visto che Marcello Veneziani è un intellettuale, come intellettuale va trattato. Verrebbe da dire che se uno di sé dice «sono un chirurgo» e poi, chiamato a dare prova di ciò, si limita a mettere un camice bianco e a far volteggiare un bisturi, più che un chirurgo bisognerebbe considerarlo un ciarlatano, e sperare che non eserciti mai, ma pare che le parole non abbiano né peso né valore, in Italia.
Pare, dico, perché Breivik, l'esecutore della strage di Oslo, ha scritto oltre 1500 pagine per dire al mondo, in sostanza: "Ciao, sono un templare e ho intenzione di compiere una strage per richiamare l'attenzione del mondo sulla deriva multiculturale e filoislamica dell'Europa, e sulla debolezza con cui l’Europa sta combattendo il pericolo. P.S.: per me sarà un atto politico"; evidentemente ai Marcello Veneziani 1500 pagine in inglese senza figure o disegnini non bastano. 
Eppure Veneziani, per evitare di considerare quella di Breivik una strage politica, ricorre ad uno stupefacente paragone con Cesare Battisti: 
Non ho mai pensato di giudicare, che so, il terrorista Cesare Battisti, la versione estrema di Bersani, Vendola, la Repubblica o di chi volete voi. E parliamo di un terrorista politico, mica di un paranoico come Breivik
 
Oh, grazie per non aver mai fatto un simile paragone, ti dobbiamo qualcosa? Va bene un assegno? Ché Veneziani ci aggiunge l’ultima frase come per dire “avrei gioco facile a farlo”. Ma Cesare Battisti ha forse scritto, relativamente ai suoi delitti, qualcosa che chiami in causa Vendola, Bersani o Repubblica? E, ammesso che l’avesse fatto, questo non rappresenterebbe una prova a carico di qualche accusa a loro danno, ma al limite un fatto su cui bisognerebbe riflettere, discutere; esiste il reato di istigazione, non di ispirazione. 
Qui Veneziani, invece del processo alle intenzioni, fa qualcosa di spettacolare: concede la grazia dal processo alle intenzioni che avrebbe potuto fare, ma non ha fatto, lasciando intendere che l'avrebbe certamente vinto.
Ma è nella distinzione tra terrorista e mostro che mostra il meglio di sé: 
Cosa differenzia un terrorista politico da un mostro malato di paranoia? Il fatto che il primo compie il suo atto nell’ambito di un gruppo e con il consenso di un’area da cui il gruppo attinge le sue leve, colpendo obbiettivi mirati e condivisi. Il secondo invece compie il suo gesto nella solitudine della sua mente malata, spesso colpendo obbiettivi che sono la proiezione della sua paranoia. 
 
Ossia: prendete un terrorista, lasciatelo solo, otterrete un mostro malato di paranoia. Più che una distinzione mi pare una definizione a uso e consumo dei propri sofismi. Va inoltre detto che Veneziani dovrebbe mettersi d'accordo col giornale per cui scrive, poiché Alessandro Sallusti in occasione dell’aggressione a Berlusconi ha scritto
Il fatto che l’aggressore abbia problemi psichiatrici non attenua neppure di un millimetro la gravità dell’accaduto e le responsabilità politiche. Di matti è pieno il Paese, da sempre, ma mai a uno squinternato era venuto in mente di attentare alla vita di un primo ministro. Non è un caso che ciò sia successo proprio oggi e proprio contro Berlusconi. È evidente che anche i mattacchioni leggono i giornali, guardano la televisione, si abbeverano alle tesi di La Repubblica, dei Santoro, dei Travaglio, dei Di Pietro
Ma Veneziani dovrebbe soprattutto mettersi d’accordo con un osso duro da convincere, ossia Veneziani stesso, che scriveva sempre a proposito dell'aggressione a Berlusconi, e sempre su Il Giornale: 
[…] se si giudica tiranno Berlusconi, se lo si definisce pubblicamente in questo modo, si legittima l’attentato contro di lui e si ritiene lecita ogni violenza pur di eliminare il despota. […] L’evidenza della realtà smentisce che siamo anche vagamente in una dittatura. In una tirannide chi esprime queste accuse al tiranno viene infatti perseguitato, incarcerato, eliminato; invece assistiamo da svariato tempo a libere denunce televisive e giornalistiche di tirannide del governo Berlusconi senza alcun effetto nei confronti di chi lo denuncia, sia esso politico, giornalista o semplice cittadino. 
Allo stato attuale non risulta che Breivik abbia problemi psichiatrici (il suo avvocato ha chiesto la doppia perizia), questa è una falsa premessa di Veneziani: Veneziani asserisce senza argomenti, allo scopo di supportare la propria tesi. Inoltre vorrei capire perché se un Tartaglia con disturbi psichiatrici (lui sì) aggredisce un uomo, questo è un caso politico e ci sono i classici mandanti morali, ed è colpa del clima. 
Vorrei capire perché, se invece un Breivik teorizza culturalmente, poi pianifica e poi esegue una strage, dichiarando apertamente di ispirarsi a chi combatte l’«Eurabia», il colpevole, per Veneziani è Tyler Durden; in secondo luogo il colpevole è la sinistra che crede all’esistenza di Tyler Durden. Diventa dunque persino una colpa, per Veneziani, il dubitare su ciò che lui afferma mentre si dà ragione da solo. 
Dice inoltre Veneziani che Breivik non è ciò che professa di essere, e dunque non è responsabile dell'idea. Dunque chiunque si scagli contro il multiculturalismo non è cristiano? È il caso che Veneziani avverta Magdi Cristiano Allam , per cominciare, ma usi parole gentili perché sull’argomento mi pare alquanto suscettibile. Ma prima, sul tema dell'antislamismo, si confronti di nuovo con se stesso
A me pare che l’atteggiamento di Breivik non sia quello dell’eretico, che devia dalla dottrina: il suo è l’atteggiamento del fanatico e dello zelota, ossia di chi, per quella dottrina, è pronto a qualunque cosa, persino a puntare l'arma contro i fratelli europei infiacchiti per destarli con la violenza dal torpore multiculturale.
C’è forse un testo che manca alla formazione culturale di Marcello Veneziani, e che giustifica almeno in parte, o addirittura lo assolve dalle sciocchezze e dalle falsità che scrive. 
Questo testo è il Vocabolario della Lingua Italiana. Se Veneziani lo avesse aperto alla voce politica avrebbe scoperto che la parola deriva dal greco, e significa “che attiene alla città” e dunque, per metonimia, "che attiene a una comunità”. Per cui anche il gesto di un folle, o di un mostro è un atto politico: il fatto che Veneziani allontani immediatamente e a priori questa ipotesi è francamente sospetto. È talmente politico da riguardare anche la nostra comunità, poiché l'orrore della vicenda ha indubbiamente scioccato tutti: essa riguarda prima di tutto l’umano, e poi l’idea di umano. E non mi risulta che, nonostante il cattivo gusto e la disinformazione sfoggiata a riguardo, Libero o Il Giornale abbiano titolato: “Oslo? E chissenefrega” (Sallusti, Belpietro: è una battuta, non è un consiglio). 
 E visto, nonostante tutto, che Marcello Veneziani è un intellettuale, allora va considerato come tale anche il premio Nobel Albert Camus, che Marcello Veneziani sicuramente conosce, e dunque ignora volontariamente.

Ecco cosa scriveva il suo "collega” ne L’uomo in rivolta


La propaganda, la tortura, sono mezzi diretti di disintegrazione; più ancora, l’avvilimento sistematico dell’uomo, la amalgama col criminale cinico; la complicità forzata. Chi uccide o tortura non conosce che un’unica ombra alla propria vittoria: non può sentirsi innocente. Deve dunque creare la colpevolezza nella vittima stessa perché, in un mondo senza direzione, la colpevolezza generale non legittimi altro che l'esercizio della forza, non consacri altro che il successo. Quando il concetto d'innocenza scompare nell'innocente stesso, la potenza eretta a valore regna definitivamente sovra un mondo disperato. [...] Il potere di uccidere e d’avvilire salva l'anima servile dal nulla. 
Veneziani stia tranquillo, circa l'ultima frase, «Il potere di uccidere e d’avvilire salva l'anima servile dal nulla»: non è di uccidere, che lo si sta accusando. Ma lo si accusa dell’avvilimento sotto cui le sue parole schiacciano la relazione logica con la realtà: lo si accusa di gettare fuori dal cuore e lontano dalla coscienza il senso di osceno nei confronti della strage di Oslo, e il senso del sacro nei confronti della vittima, e di disintegrarlo in una pretestuosa, fasulla schermaglia dialettica. Parola dopo parola si costruisce il cammino verso la ferocia, verso l'istituzionalizzazione del suo linguaggio e la giustificazione del suo vocabolario: e quando un concetto trova forme linguistiche, esso compare nell'orizzonte dell'umano, del dicibile. 
Io non posso porre nel mio orizzonte la ferocia di un Feltri o il nichilismo di un Veneziani: se li rendo miei interlocutori, io ho già perso. Ma non posso neanche desiderare la loro scomparsa, o l'abbattimento. Se la rabbia di fronte a simili, bestiali parole, da sintomo istintivo di ingiustizia diventa un movente e un obbiettivo politico, il cammino verso la ferocia prosegue. 
Io non so se i Feltri o Veneziani abbiano un Tyler Durden che suggerisce lo scempio retorico di questi giorni. So che stanno sdoganando linguisticamente due assiomi comuni ai più feroci regimi:

1) La colpa del carnefice è in realtà la debolezza della vittima. (“quei giovani incapaci di reagire”)
2) L’orrore è una percezione soggettiva. (“se il killer di Oslo fosse comunista non farebbe così orrore”).

E, sia chiaro, i regimi hanno tutti due colori: il rosso del sangue di cui si macchiano e il nero delle coscienze che offuscano.
Matteo Pascoletti (hanno collaborato a loro insaputa Andrea Zitelli e Gino Pino)
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