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Elezioni 2013. Che ne dite facciamo fact-checking?

3 Ottobre 2012 3 min lettura

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Elezioni 2013. Che ne dite facciamo fact-checking?

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Per il primo dibattito televisivo tra Obama e Romney non ci saranno solo live-blogging, dirette, commenti più o meno sagaci, reazioni politiche in tempo reale e quant'altro. Anche i fact-checker, coloro cioè che verificano le affermazioni dei due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, sono pronti a intervenire in tempo reale e con approfondimenti giornalistici. La CNN ha annunciato di essere della partita (e il fact-checking giocherà un big role, secondo Mediabistro, nel modo in cui effettuerà la sua copertura); Politifact pure, con un live-tweeting, aggiornamenti dei fact-checking già esistenti sul proprio sito, e le orecchie ben tese nel caso gli utenti dovessero segnalare frasi sfuggite alla redazione. E c'è da giurare non saranno i soli, dato che tra i siti espressamente dedicati a mettere le affermazioni dei politici a confronto con i fatti ci sono anche factcheck.org e il blog Fact Checker del Washington Post.

A fronte di un simile dispiegamento di forze, viene naturale chiedersi: per le elezioni del 2013 in Italia, sarà lo stesso? E se la risposta fosse un disincantato o rabbioso 'no', perché? Perché, per esempio, nessuna delle testate recentemente nate in Italia ha previsto una sezione dedicata al fact checking? Perché nessuno dei principali giornali del Paese ha uno spazio dedicato? Perché, poi, i progetti esistenti - come quello di Ahref - non ricevono ancora la visibilità e l'interesse che meritano?

Fornire una risposta a questi quesiti va ben oltre le possibilità e le intenzioni di questo post. Nell'attesa, e nella speranza che qualcuno sia interessato a raccoglierle, alcune indicazioni su cosa mutuare da progetti già esistenti:

1. Raccogliere in una pagina le più comuni fallacie argomentative adoperate nelle dichiarazioni dei politici, fornendo per ciascuna uno o più esempi concreti - come nella sezione Patterns of Deception di flackcheck.org

2. Elencare iperboli retoriche, scelte lessicali sopra le righe o inappropriate e puri e semplici insulti con video che riconducano quelle espressioni al loro reale significato - come in questo esempio da They said What? sempre di flackcheck.org.

3. Ricorrere alla gamification per facilitare il coinvolgimento del pubblico nel processo di segnalazione e nella fruizione del fact-checking: lo ha fatto politifact.org con il «Truth-o-meter», l'«Obameter» e con le applicazioni per iPhone e iPad che permettono di rispondere dati alla mano alle discussioni sollevate dai politici (per esempio, Settle it!). Lo fa il Washington Post nel già citato blog Fact Checker, adottando una scala di verità misurata in «pinocchi» (con quattro si è bugiardi patentati).

4. Applicare una qualche forma di misurazione non solo alle singole affermazioni, ma anche agli interi interventi pubblici più rilevanti, verificando frase per frase le affermazioni di fatto pronunciate - come nel Veritometre di itele.owni.fr alle scorse presidenziali in Francia (qui l'esempio per le parole di Sarkozy del 2 maggio).

5. Permettere agli utenti di segnalare affermazioni da verificare, non solo con form appositi e via mail, ma anche tramite la creazione di hashtag appositi via Twitter (anche qui, è il Washington Post a indicare la via con #FactCheckThis).

6. Estendere il controllo anche alle affermazioni della stampa, e alle traduzioni giornalistiche dei concetti espressi dai politici - come in fullfact.org.

7. Riassumere i risultati ottenuti in classifiche facilmente consultabili anche dal punto di vista grafico. Questo l'esempio di Veritometre per la credibilità dei candidati francesi del 2012.

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8. Adottare il più possibile lo strumento dei video, sia per rendere immediatamente chiara la fonte da verificare, sia per rendere più fruibile la sua verifica.

9. Prevedere una sezione di link ai migliori check reperibili in Rete.

10. Applicare lo stesso metro ad affermazioni in tv, videocomunicati su YouTube, post sui social media. La propaganda è sempre propaganda, indipendentemente dal mezzo su cui viaggia.

Resta poi la grande questione di se e come coinvolgere direttamente gli utenti nel processo di verifica e valutazione delle verifiche proposte alle singole affermazioni. Una forma di crowdsourcing che, per esempio, nel caso WikiLeaks - inizialmente nato come un progetto in cui avrebbero dovuto essere i semplici utenti, e non i media mainstream o i giornalisti dell'organizzazione, a verificare i documenti riservati - non ha funzionato. Ma che se in qualche modo diventasse 'virale', virtuosa - tenendo dunque a bada gli esagitati di entrambi gli schieramenti - e meglio ancora un'abitudine, non potrebbe che giovare alla qualità della nostra democrazia.

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