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In America continua la battaglia per l’informazione in Rete #openaccess

8 Gennaio 2012 4 min lettura

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In America continua la battaglia per l’informazione in Rete #openaccess

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Antonio Scalari
@valigiablu
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Dopo il SOPA, il Research Works Act. In America la battaglia per l’informazione in Rete si sposta sul terreno dell’open access. Questo progetto di legge vuole costringere il governo a impedire la diffusione delle ricerche senza il consenso dell'editore e avrebbe quindi serie conseguenze sulle politiche di accesso alle pubblicazioni applicate dalle agenzie federali. Già, perché il testo parla sì di ricerca del “settore privato”, ma intendendo, con questa definizione, anche quella finanziata, in tutto o in parte, da fondi pubblici assegnati a un ente non governativo. In questo modo uno studio compiuto in una università privata grazie a uno stanziamento federale, ma alla cui pubblicazione contribuisca un editore (dalla peer review alla stampa ), non sarebbe più ospitato nei database pubblici. Per questo molti chiedono che venga fermato l’iter di questo provvedimento e garantito dalle agenzie federali il prosieguo delle politiche di libero accesso. A essere colpito, in particolare, sarebbe il PubMed Central, il database online dei National Institutes of Health, l’ente federale di ricerca in campo biomedico.

La politica di accesso pubblico garantita dai NIH attraverso la National Library of Medicine fu già corretta nel 2008, con il raggiungimento di un compromesso che garantiva la fruizione, entro 12 mesi dalla pubblicazione, delle ricerche beneficiarie di fondi dei NIH. Un modo per assicurare alle case editrici private un periodo ragionevole di sfruttamento dei diritti. Ma evidentemente alle companies degli editori non basta e attraverso la American Association of Publishers (AAP) spingono per l'approvazione della legge. Ma scienziati e giornalisti scientifici iniziano a incalzare anche le associazioni accademiche nazionali – come l'American Association for the Advancement of Science, l'editrice della rivista Science – membre dell'AAP, come pure edizioni universitarie del calibro della University of California Press e della MIT Press, perché non logorino la loro immagine di istituzioni devote alla diffusione della conoscenza. E c'è chi le invita a decidersi ad abbandonare la lobby degli editori.

Poi ci sono la politica e l'influenza che su di essa esercitano i contributi per le campagne elettorali. Michael Eisen, biologo evoluzionista alla University of California di Berkeley, si chiede se l’iniziativa del Research Works Act non abbia a che vedere con il fatto che la deputata Carolyn Maloney, democratica di New York e redattrice della legge insieme al repubblicano Darrell Issa, sia tra i maggiori beneficiari di donazioni elettorali da parte di dirigenti della Elsevier, una delle publishing company scientifiche più importanti al mondo, editrice di prestigiose riviste come The Lancet e Cell. Anche Darrell Issa appare tra i politici finanziati da Elsevier.

Michael Eisen è uno dei protagonisti dell’open access in America. Insieme a Patrick Brown, biochimico alla Stanford University, ha lanciato nel 2001 l'iniziativa della Public Library of Science ( PLoS ) un progetto di pubblicazione scientifica che rende immediatamente fruibili i contenuti, sotto la licenza Creative Commons. A chi invia una ricerca è richiesta una quota di pubblicazione e PLoS si sostiene grazie a questi introiti, ma soprattutto grazie alle donazioni di fondazioni. Cospicuo è stato il contributo iniziale della Gordon and Betty Moore Foundation.

Il progetto PLoS è partito operativamente nel 2003, con il lancio della rivista PLoS Biology, che può vantare un impact factor tra i più alti nella sua categoria. A questa hanno fatto seguito PLoS Genetics, PLoS Pathogens e altre. Quella di PLoS è una realtà che già gode di prestigio all'interno della comunità scientifica e al suo invito a partecipare hanno aderito fin da subito molti scienziati. Tra i più illustri Harold Varmus, direttore del National Cancer Institute e premio Nobel per la Medicina nel 1989. L'obiettivo è quello di diffondere i principi fondativi di PLoS, affinchè ci si convinca della necessità di una maggiore chiarezza e di un maggior coraggio nelle politiche di condivisione dei contenuti. PLoS ha i numeri anche per contestare la pretesa dell'APP di compiere una battaglia a difesa degli standard di qualità nelle pubblicazioni scientifiche. E come a smentire questo, sono arrivati proprio ieri i ringraziamenti di PLoS a chi ha contribuito nel 2011 al lavoro di peer review. Si parla di migliaia di studiosi, afferenti ad alcune tra le maggiori istituzioni scientifiche. È questo, non la trincea del copyright, che garantisce, secondo i sostenitori dell’open access,  la qualità delle ricerche e che consente loro di passare il vaglio della comunità scientifica.

La vicenda del Research Works Act non è solo una disputa tra addetti ai lavori. Chi si batte per l'open access difende anche il diritto dei contribuenti a non pagare una seconda volta ciò che hanno già pagato con le loro tasse. Perchè di questo si tratterebbe: di concedere agli editori il monopolio di ricerche alla cui realizzazione non contribuiscono che in minima parte. Sono i ricercatori a fornire agli editori il materiale per pubblicare, così come ricercatori sono coloro che lavorano alla peer review. L’esperienza di questi esperti ha un valore molto maggiore delle spese a cui vanno incontro gli editori. Peraltro sono le istituzioni accademiche generalmente a pagare i referees, i responsabili della peer review. Sono in gioco dunque anche il diritto dei cittadini -  insegnanti, gruppi a difesa dei diritti dei pazienti, medici, avvocati - di usufruire di conoscenze che possono contribuire a tutelare l'interesse pubblico e la libertà di informazione contro le interferenze di qualsiasi monopolio.

Il dibattito su Twitter.

Scientists, Fight for Access!

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The Research Works Act: asking the public to pay twice for scientific knowledge

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